IL GIOVANE ARTISTA
Quella mattina si era svegliato con la sensazione
che dovesse accadere qualcosa di meraviglioso. La comoda sveglia mattutina,
l’abbondante colazione preparata dalla madre e i raggi di sole che filtravano
dalla leggera tenda della cucina presagivano l’avvento di un’ottima giornata. Dopo
aver sistemato la sua cresta, a modo del suo idolo del Calcio Napoli, uscì di
casa, canticchiando i versi che aveva scritto per lei.
Ciro avviò con il piede il suo scooter 50 e ci salì
sopra con difficoltà. I suoi jeans ultrastretti erano all’ultima moda, ma limitavano
anche i più semplici movimenti e soffocavano i preziosi gioielli di famiglia.
Lungo la strada gli si affiancarono in moto gli
amici con le chitarre in spalla. Lo salutarono e proseguirono insieme verso la
Mostra d’Oltremare, dove quella mattina era prevista l’esposizione delle opere
d’arte di un noto artista italiano d’avanguardia.
Lasciarono gli scooter fuori la piazza quasi vuota,
se non per qualche piccolo gruppo di persone vestite in maniera distinta e una
piccola fila alla biglietteria.
Sorrisero al ricordo della loro ultima visita alla
Mostra, in occasione del Comicon; quando, durante la gara di Cosplay, avevano
potuto girare fieri a testa alta tra la folla, vestiti da Fantastici Quattro.
Ciro, per il suo fisico asciutto e longilineo era stato l’Uomo Elastico, Genni
aveva insistito per la Torcia Umana, Marcello, il più massiccio, aveva
rappresentato la Cosa, mentre a Francesco, per esclusione, era toccato vestirsi
da Donna Invisibile. Quest’ultimo, rifiutandosi di depilarsi petto e gambe,
aveva decretato la loro veloce sconfitta.
Ma quel giorno, l’aria era completamente diversa,
molto meno giocosa e di certo non appropriata ai loro standard. Attraversarono
la piazzetta sotto lo sguardo interrogativo e perplesso dei pochi presenti,
come se portassero ancora indosso i costumi da Fantastici Quattro e i peli di
Francesco spuntassero inesorabilmente dalla tutina elasticizzata.
Nessuno di loro prima d’ora aveva osato visitare una
mostra d’arte, ma lo scopo era nobile e la promessa di Ciro di una lauta
ricompensa li aveva convinti a unirsi a lui.
«Ua Ciro, ci vogliono venti euro ciascuno per
entrare.» Francesco, dalla tasca sempre un po’ corta, rimase atterrito alla
vista del cartello affisso alla biglietteria.
«Non vi preoccupate amici, i biglietti li pago io.
L’importante è che vada tutto come ho programmato.»
«Veramente avevamo concordato anche una margherita
da Cafasso a testa.» Marcello, il suo caro amico d’infanzia, rammentò a Ciro la
loro precedente contrattazione.
«La margherita è d’asporto e da mangiare sul muretto
di fronte. Non l’ho dimenticato.»
«E aggiungici due birre.» Intervenne Genni, il
miglior chitarrista che conosceva.
«Pure?! Non vi accontentate mai.» Ciro si rassegnò e
si avviò allo sportello. L’aiuto dei suoi amici era fondamentale per la buona riuscita
della sua sorpresa.
Tornò da loro e distribuì i biglietti. «Avete capito
cosa fare o devo ripetere tutto?»
«Stai tranquillo Ciro, sei in buone mani.» Lo
rassicurò Marcello, sempre presente con la sua telecamera quando si trattava di
divertirsi.
«Mi raccomando però, fate silenzio. Non facciamoci
notare prima del tempo.»
«Allora mi sa che hai sbagliato a chiamare noi.» I
suoi compagni, infatti, erano famosi per essere dei grandi casinisti. Presi
singolarmente potevano pure apparire tranquilli e con la testa sulle spalle ma
insieme davano il peggio di loro stessi trascurando ogni regola. La loro mente
regrediva allo stato di quindicenni e le loro azioni diventavano le più
imprevedibili.
«La volete la pizza o no?» Ciro li guardò in maniera
minacciosa.
«Abbiamo capito.» Esclamò Francesco «Rimaniamo
muti.»
«Andiamo. Per prima cosa dobbiamo superarla.»
Insieme ai suoi tre amici attraversò i giardini, oltrepassando
gli stand iniziali, dove il gruppo di architetti di cui faceva parte la sua
amata procedeva, guidato dal famoso artista, autore delle opere esposte.
Arrivati veloci e inosservati all’ultimo stand, si introdussero
al suo interno tramite una porta di servizio, trovandosi in un’ampia sala ricca
di opere d’arte di ogni specie ma ancora libera dai visitatori.
«Il gruppo è ancora lontano. Dovrebbero passare di
qua più tardi.» Disse Francesco.
«Qui va benissimo. Dobbiamo solo trovare il punto
migliore dove scrivere il messaggio.» Cominciò a guardarsi intorno ma si rese
subito conto che sarebbe stato difficile trovare uno spazio libero adatto a dei
murales d’effetto.
«Ciro, che ne dici di questa parete divisoria? E’
come un’enorme tela bianca a tua completa disposizione.»
Ciro si avvicinò al muro indicatogli dall’amico. Era
alto tre metri e largo altrettanto, totalmente ricoperto da intonaco bianco
grezzo. Sembrava che la sorte fosse dalla sua parte.
«Ma qua c’è scritto “Muro di Punzo”.» Notò Ciro.
«Sarà la ditta che ha allestito lo stand. E’ perfetto.
Coraggio Ciro, lo vuoi capire che la stai perdendo. Lei ormai è un architetto e
tu fai ancora ‘o guaglion ro macellar. Devi fare qualcosa di clamoroso.»
“Ha ragione. Se parte, la perderò per sempre.”
«Ok, compa’. Passami la bomboletta spray.»
Ciro la impugnò deciso e incominciò a scrivere sul muro
ancora inviolato, mentre i compagni sfoderarono i loro strumenti.
«Le chitarre sono pronte e accordate.» Genni e
Francesco erano già in posizione.
«Marcello tu filma tutto. Non voglio perdere niente
di questo momento speciale.» Ciro ripose la bomboletta nello zaino e si sistemò
la sua cresta fissata col gel. La scritta al centro del muro era completa: “Sofia
nun partì. Resta cu’ mme’.”
«Fate silenzio. Stanno arrivando.» Avvisò Marcello.
«Ora.» Ciro vide spuntare, dietro un’enorme statua,
Sofia seguita dal gruppo di colleghi. Con l’accompagnamento degli amici, iniziò
a cantare una canzone scritta di suo pugno per l’occasione: «Sofia resta cu’ mme’.
Nun lascià solo stu cor, pers rint a malincunia-a-a-a. Senz e te sta Napoli è
oscur, si o sol che splend e illumina sta città-à-à-à.»
Si fermarono tutti, di fronte a quell’improvvisato
spettacolo. I loro volti erano sconcertati. Ma Sofia sembrava la più scioccata.
«No, non è possibile. Ciroooo!» Urlò sovrastando la
musica. «Era il Muro dell’Incomunicabilità! Il Muro di Punzo.»
Ciro bloccò subito i suoi amici. «Cosa?!»
Non era una semplice parete posta a dividere gli
ambienti ma l’opera di un grande maestro. Punzo era un artista italiano sulla
cinquantina che aveva dedicato la sua vita all’arte e allo studio. Non aveva
famiglia e trascorreva le giornate nel suo laboratorio d’arte, uscendo solo in
occasione delle sue mostre. Il muro rappresentava la difficoltà delle persone a
comunicare tra di loro, ad aprire il proprio animo e a trasmettere le proprie
emozioni. Punzo pensava di poterlo fare tramite le sue opere ma, privandosi di
emozioni vere e pure, le sue sculture e i suoi quadri stavano diventando sempre
più freddi e cupi.
«Che vergogna. Hanno infangato l’opera.» Commentò un
uomo dal fare snob.
«Che gesto ignominioso.»
«E’ imbarazzante, una voce sgradevole e lacerante.»
Borbottò un’altra distinta signora.
«Non ti rendi conto di cosa hai fatto?» Sofia
scoppiò a piangere.
«Cos’è questa musica? Fatemi passare.» Il maestro
Punzo, un uomo corto e pelato con un sottile baffo curato, si fece avanti tra
il folto gruppo.
Rimase immobile a osservare la sua opera, mentre un
silenzio tombale calò sui presenti. «Incredibile. E’ successo davvero.» L’estroso
artista sembrava stupefatto, qualcosa lo aveva dovuto colpire. «Giovane, come
ti chiami?»
«Ciro.» Rispose perplesso.
«Ho girato il mondo intero con la mia mostra. Ciro tu
sei il primo che abbia avuto il coraggio di abbattere il mio muro
dell’incomunicabilità, con questi versi così spontanei e sinceri e questa voce
vibrante ed evocativa. Grazie a te la mia mente ora è libera. Sei la risposta a
tutte le mie domande.»
«Grande Ciro. Te l’avevo detto.» Genni gli diede una
pacca sulla spalla.
«Questo ragazzino è un genio.» Commentò l’uomo di
prima.
«Che poesia.»
«E che voce soave.» Ribatté la distinta signora.
Ciro si caricò di nuovo del suo entusiasmo e spostò
l’attenzione sulla sua amata. «Sofia, amore. Non partire.»
Sofia si avvicinò veloce a lui, gli mollò uno
schiaffo sulla guancia e si allontanò da tutti colma di vergogna.
Lui rimase fermo, guardandola scappar via, sorpreso
dalla sua reazione eccessiva. «Ma io volevo solo…»
«Piccolo non badare a lei. Noi artisti siamo avvezzi
a una vita di solitudine e incomprensione.» Lo consolò il maestro, arrivato
accanto a lui. «Tu hai la spontanea temerarietà dei creativi. Tu sei destinato
a cose più grandi.»
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