martedì 28 ottobre 2014

Capitolo 1

SOFIA


Era la prima domenica di settembre. L’estate volgeva al termine, eppure il caldo afoso non sembrava voler abbandonare la città. Con un sorriso carico di aspettative sul volto, Sofia s’incamminò verso il Parco delle Cascine con l’intenzione di dedicarsi al suo recente hobby brucia calorie. Era da quasi un anno che aveva cominciato ad allenarsi con serietà. All’inizio, lo scopo era soltanto di perdere quei chili in più che aveva sui suoi fianchi morbidi, ma col tempo si era resa conto che correndo riusciva a eliminare quello stato d’ansia che la pervadeva e ad accantonare i suoi piccoli problemi. La corsa era diventata così la sua alleata contro lo stress.
Prima di partire da Napoli aveva letto su internet che le Cascine erano la meta preferita dei runners fiorentini, spesso utilizzata per maratone cittadine e come sede di concerti ed eventi di vario genere. Era felice che dal suo nuovo appartamento potesse raggiungerla a piedi in pochi minuti.
Per sentirsi più comoda aveva raccolto i suoi lunghi capelli neri in un’ondulata coda di cavallo e indossato un completino elastico Nike, azzurro come il mare della sua città natale.
Iniziò a correre lungo il viale alberato, ancora assopito e sereno, tra vari runners immersi nel loro allenamento e qualche individuo in compagnia del suo cane. Su uno dei prati a lato un folto gruppo di persone di una certa età, eseguiva delle lente movenze di danza, col sottofondo di una musica new age. Diversi ambulanti, invece, erano freneticamente all’opera per allestire le loro bancarelle di caramelle e dolciumi. Qualcuno stava già preparando le nocciole tostate e l’inebriante odore che fuoriusciva dal pentolone ruotante spinse Sofia ad accelerare il passo, trattenendo il fiato per non farsi riempire le narici da quell’aroma irresistibile. Più avanti, due mimi, ancora non “freezzati” e che quindi potevano permettersi ogni movimento, la salutarono, incitandola alla corsa, per poi riprendere a disputarsi la postazione fissa migliore per la giornata.
La vitalità dell’ambiente circostante e l’aria fresca del mattino che le accarezzava il viso e le riempiva i polmoni la caricarono di puro e frizzante ottimismo. Ripensò ai versi famosi di Percy Bysshe Shelley, che desiderava di rigenerarsi, come la natura sotto l’effetto del vento.
“Sarà un anno meraviglioso.” Si ripeté fiduciosa.
Ora che era lontana dalla cucina della madre e dai suoi manicaretti non ci sarebbero stati più intoppi troppo invitanti a ostacolare la sua voglia di purificazione che in soldoni significava tanti chiletti in meno e la possibilità di scendere finalmente di una taglia.
Era stata per due settimane a Napoli ad aspettare fremente il giorno della partenza. La notizia del superamento delle selezioni per l’accesso al master all’università di Architettura di Firenze, cosa non del tutto pronosticabile, l’aveva riempita di gioia. Era sempre stata sicura di ciò che voleva dalla vita e valeva lo stesso discorso anche per questa nuova esperienza di studio e per tutto ciò che avrebbe significato. In maniera decisa e senza distrazioni puntava sempre dritta al bersaglio.
Per quanto riguardava le questioni di cuore, invece, il discorso era ben diverso: l’amore rimaneva per lei un grosso enigma; qualcosa in cui non sapeva come districarsi. Con l’aleatorietà del comportamento e dell’animo umano, niente era prevedibile o riconducibile a uno schema logico.
Mai come in quel periodo aveva bisogno di evadere, di cambiare ambiente, soprattutto per mettere la parola fine al suo vecchio e logoro fidanzamento durato anche troppo. In passato era stata bene con Ciro ma, ormai, era una relazione che andava avanti per forza d’inerzia, almeno da parte sua. In cuor suo, aveva sempre saputo che non sarebbe mai potuto essere l’uomo della sua vita. Anche se con il tempo le loro strade sembravano allontanarsi sempre di più, non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo e lasciarlo in maniera definitiva.
La volontà di frequentare il master, che avrebbe portato a un loro inevitabile distacco, aveva spinto Ciro a una manifestazione esagerata e inopportuna dei suoi sentimenti. Il video virale, che per l’intera estate aveva collezionato centinaia di migliaia di visualizzazioni, l’aveva convinta a chiudere il loro rapporto una volta per tutte.
Quindi, con Michela, che a sorpresa aveva anche lei superato le stesse selezioni, aveva subito fittato un appartamento a Firenze, non lontano dall’università. Era partita da Napoli, carica di determinazione e di bagagli, con l’intenzione di dedicarsi completamente allo studio e stare lontano dai ragazzi e dalle complicazioni che inevitabilmente avrebbero portato. Ignorava, però, che presto la sua vita sarebbe stata sconvolta da nuove e sconosciute regole dell’amore, diventando come una pedina su una scacchiera per lei troppo ampia, sprovvista di un manuale d’istruzioni.
Quel giorno, notò che i muscoli erano rilassati e non le dolevano. Si sentiva in ottima forma e cominciò ad aumentare in maniera graduale il passo. Percepiva il cuore che pulsava sempre più forte e i battiti salirle su per la gola. Avanti a lei scorreva tutto più veloce: gli alberi, due bambini che giocavano, una coppia che passeggiava, un bel ragazzo moro che correva… «Ahia!» Gridò, saltellando dolorante su un solo piede. Poggiò le mani per terra e si adagiò sul selciato.
«Tutto bene?» Le chiese una voce sconosciuta dal tono gentile.
«Ti sembra che vada tutto bene!» Sbraitò scuotendo le braccia.
«Fammi dare un’occhiata.»
«Lascia, è soltanto una storta.» Ansimò sofferente, tenendo la caviglia stretta tra le mani. «Non ho visto il fosso per terra.»
«Dai fammi vedere.» Insistette la voce.
«Che sei? Un dottore?» Si girò di scatto e si accorse che di fronte a lei si trovava il ragazzo che aveva appena incrociato lungo il viale.
«Sì, una cosa del genere.» Le rispose sorridendo. «Guarda si sta già gonfiando, hai bisogno di metterci un po’ di ghiaccio sopra. Appoggiati a me, ti accompagno allo chalet qua vicino.»
«Non ti preoccupare, ce la faccio… Ahia!» Strillò provando a rialzarsi da sola.
«Non ce la fai. Vieni, ti tiro su io.» La afferrò con presa sicura e la alzò senza che lei nemmeno collaborasse.
«Ma sei tutto sudato!» Borbottò.
Il ragazzo rise. «Stavo correndo. E poi non mi sembra che tu sia molto più profumata.»
Sofia lo guardò con uno sguardo fulminante, e infine si appoggiò sulla sua spalla.
Il suo gentile soccorritore la guidò verso il chiosco lì vicino, mentre lei saltellava sull’unico piede ancora sano. Arrivati in prossimità dei tavolini, la fece accomodare su una sedia.
«Aspetta qui.» Le disse sorridendo. «Non andare da nessuna parte, torno subito.»
«Dove vuoi che vada?!» “Cretino.” Pensò Sofia, non apprezzando la sua ironia. 
Tornò dopo pochi minuti con due aperitivi in mano e una bustina trasparente contenente del ghiaccio. «Hai voglia di qualcosa di fresco?»
«Guarda che questo non è un appuntamento.» Disse un po’ infastidita, osservandolo poggiare i due bicchieri sul tavolino.
Le si inginocchiò davanti e le stese la gamba. «Sei sempre così diffidente con chi cerca di aiutarti?» Prese la sacca di ghiaccio e la accostò alla caviglia dolorante.
Dopo la breve ma intensa corsa e tutto il dolore che aveva provato Sofia non riuscì a resistere. Prese l’aperitivo e ne sorseggiò un poco. «Lo bevo soltanto perché sto morendo di sete.»
«Non ti sembrava di correre troppo veloce, ti stai preparando forse per i cento metri piani?» Le chiese, sedendosi di fronte a lei.
«Avevo bisogno di sfogarmi, non pensavo certo di farmi male.» Rispose Sofia con una faccia dolorante, continuando ogni tanto a gustarsi l’aperitivo.
«Non ti ho mai vista correre qui. Io ci vengo tutte le mattine, quando smonto dal turno di notte.»
«E’ la prima volta… e penso anche l’ultima. Comunque grazie per il ghiaccio e l’aperitivo, continua pure a correre se vuoi.»
«Ormai l’allenamento è saltato, e poi non posso lasciare da sola una persona che ha bisogno di aiuto; deontologia professionale.»
«Ah, non si preoccupi dottore, sto bene.» Insistette Sofia. «Ora può andare. Me la posso cavare anche da sola.»
«Non in queste condizioni. Come pensi di spostarti?»
A questo Sofia non aveva ancora pensato. Per conoscere meglio il suo nuovo quartiere, era arrivata lì passeggiando. Purtroppo, era impensabile tornare a casa saltellando su un solo piede.
«Ora chiamo la mia amica.» Lo rassicurò, considerando la migliore e anche l’unica soluzione possibile. Prese il suo smartphone dal portacellulare al braccio e selezionò il numero di Michela, la sua coinquilina, che aveva lasciato poco prima a casa ancora avvolta tra le lenzuola.
«Mmmm… chi è?» Rispose l’amica con una voce molto assonnata.
«Michela sono io. Devi venire a prendermi subito, sono caduta e non riesco più a camminare.»
«Mmmm… sto dormendo. Non ce la faccio.» Sembrava stesse per riaddormentarsi.
«Dai Michela. Ti prego. Ti sbobino gli appunti per tutto il mese.»
«Va bene, mi alzo.» La voce sembrò schiarirsi. «Dove sei?»
Solo allora, Sofia si accorse di non sapere dove si trovasse con precisione. Si rivolse al ragazzo che la guardava, ancora in attesa di un suo eventuale coinvolgimento. «In che via siamo con precisione? Mi viene a prendere la mia amica.»
«In realtà siamo all’interno di una zona pedonale. Dille di farsi trovare a Piazzale delle Cascine.» Suggerì lui.
«Vieni a Piazzale delle Cascine, fai presto.»
«Va bene, dammi il tempo di alzarmi e sono da te.»
«Grazie Michela, ti devo un favore.»
«Non ti preoccupare. Un mese di appunti andrà più che bene.»
Michela terminò la telefonata, soddisfatta della promessa strappata all’amica. Sofia chiuse gli occhi, raccolse tanta aria nei polmoni e la cacciò fuori con violenza, cercando di calmare la sua ansia. Poi cominciò a guardarsi intorno e con un tono di voce più sereno chiese al ragazzo: «Scusa, dove si trova Piazzale delle Cascine?»
«Quattrocento metri in quella direzione.» Indicò lui con il dito.
«Come?! Ed io come arrivo lì secondo te?»
«Ti ci porto io, non ti preoccupare.»
«E come? A cavalluccio?»
«E perché no!» Sorrise alla proposta.
«Tu sei pazzo!»
«E allora me ne vado.» Esclamò alzandosi.
«Che fai adesso? Mi lasci pure da sola?»
«No! Dammi la mano.»
Sofia tese il braccio verso di lui. Il ragazzo la aiutò a sollevarsi dalla sedia, si girò e prendendola da sotto le gambe la caricò sulle spalle. Lei guidata dall’istinto, lo abbracciò per il collo.
«Caspita, dovresti correre un po’ più spesso.» La provocò lui.
«Che vuoi dire?»
«Dovresti perdere qualche altro chiletto.»
“Ha appena detto che sono grassa!” Pensò innervosita. Con la mano destra gli sferrò uno schiaffetto sulla testa. «Zitto e cammina! Non parlare più.»
Il ragazzo cominciò ad avanzare a passo spedito in direzione della piazzetta, mentre lei era intenta a osservare il mondo intorno scorrere. Era da tanto che non si ritrovava in quella posizione infantile e, per un secondo, le sembrò una cosa divertente. Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, sperando che il dolore alla caviglia passasse. Le ritornarono in mente alcuni spezzoni lontani della sua infanzia. Ricordò quando il padre era costretto a correre dietro di lei e la sorella per la villa comunale di Napoli, dove le portava a passeggiare nei pomeriggi di primavera. Oppure, quando al mare, sedeva sulle spalle del padre e giocavano a far cadere in acqua la madre e la sorella. Vincevano sempre, la mamma non resisteva al loro solletico incessante. Il padre ancora oggi rappresentava il centro della sua esistenza, anche perché non aveva ancora trovato una figura maschile in grado di reggere il confronto.
Si ritrovò con la testa appoggiata a quella del ragazzo. Appena se ne rese conto la sollevò imbarazzata. “Quanto è alto?! Dovrà essere almeno un metro e ottantacinque. Ed è pure molto forte, io non sono certo una piuma.” Pensò Sofia che comodamente si godeva il viaggio. “Mah, per essere un dottore si mantiene bene in forma ed è pure carino.”
«Eccola lì, vedo la macchina di Michela che arriva.» Indicò l’Audi A1 che si fermava in piazzetta.
«Finalmente! Qualche altro metro e dovevate accompagnare pure a me all’ospedale.» Esclamò lui con ironia.
“Insiste con queste battute stupide.” «Dottore, lei tratta così tutte le sue pazienti?»
«No, solo quelle carine.»
Rimase in silenzio, colpita dalle sue ultime parole, un po’ sfacciate.
«Sofiaaaa… sto qua!» Michela la chiamava dalla macchina, agitando il braccio in aria.
Una volta arrivati a destinazione, lui era ancora più sudato e provato di prima. «Attenzione quando scendi, poggia l’altro piede.» Suggerì.
Sofia scese dalle sue spalle e si appoggiò alla macchina. L’amica le aprì lo sportello e la aiutò ad accomodarsi dentro.
Ancor prima che Michela potesse mettere in moto, lui si accostò al finestrino aperto. «Allora mi raccomando, prendi un po’ di antiinfiammatori per alleviare il dolore e fai una radiografia quanto prima.»
«Grazie dottore, è stato molto gentile a soccorrermi e accompagnarmi alla macchina.» “Anche se era meglio se stava zitto.”
«Comunque mi chiamo Lorenzo.»
«Io sono Sofia.»

Ed ecco il nostro capitano Christian:


domenica 26 ottobre 2014

IL PROLOGO

 IL GIOVANE ARTISTA


Quella mattina si era svegliato con la sensazione che dovesse accadere qualcosa di meraviglioso. La comoda sveglia mattutina, l’abbondante colazione preparata dalla madre e i raggi di sole che filtravano dalla leggera tenda della cucina presagivano l’avvento di un’ottima giornata. Dopo aver sistemato la sua cresta, a modo del suo idolo del Calcio Napoli, uscì di casa, canticchiando i versi che aveva scritto per lei.
Ciro avviò con il piede il suo scooter 50 e ci salì sopra con difficoltà. I suoi jeans ultrastretti erano all’ultima moda, ma limitavano anche i più semplici movimenti e soffocavano i preziosi gioielli di famiglia.
Lungo la strada gli si affiancarono in moto gli amici con le chitarre in spalla. Lo salutarono e proseguirono insieme verso la Mostra d’Oltremare, dove quella mattina era prevista l’esposizione delle opere d’arte di un noto artista italiano d’avanguardia.
Lasciarono gli scooter fuori la piazza quasi vuota, se non per qualche piccolo gruppo di persone vestite in maniera distinta e una piccola fila alla biglietteria.
Sorrisero al ricordo della loro ultima visita alla Mostra, in occasione del Comicon; quando, durante la gara di Cosplay, avevano potuto girare fieri a testa alta tra la folla, vestiti da Fantastici Quattro. Ciro, per il suo fisico asciutto e longilineo era stato l’Uomo Elastico, Genni aveva insistito per la Torcia Umana, Marcello, il più massiccio, aveva rappresentato la Cosa, mentre a Francesco, per esclusione, era toccato vestirsi da Donna Invisibile. Quest’ultimo, rifiutandosi di depilarsi petto e gambe, aveva decretato la loro veloce sconfitta.
Ma quel giorno, l’aria era completamente diversa, molto meno giocosa e di certo non appropriata ai loro standard. Attraversarono la piazzetta sotto lo sguardo interrogativo e perplesso dei pochi presenti, come se portassero ancora indosso i costumi da Fantastici Quattro e i peli di Francesco spuntassero inesorabilmente dalla tutina elasticizzata.
Nessuno di loro prima d’ora aveva osato visitare una mostra d’arte, ma lo scopo era nobile e la promessa di Ciro di una lauta ricompensa li aveva convinti a unirsi a lui.
«Ua Ciro, ci vogliono venti euro ciascuno per entrare.» Francesco, dalla tasca sempre un po’ corta, rimase atterrito alla vista del cartello affisso alla biglietteria.
«Non vi preoccupate amici, i biglietti li pago io. L’importante è che vada tutto come ho programmato.»
«Veramente avevamo concordato anche una margherita da Cafasso a testa.» Marcello, il suo caro amico d’infanzia, rammentò a Ciro la loro precedente contrattazione.
«La margherita è d’asporto e da mangiare sul muretto di fronte. Non l’ho dimenticato.»
«E aggiungici due birre.» Intervenne Genni, il miglior chitarrista che conosceva.
«Pure?! Non vi accontentate mai.» Ciro si rassegnò e si avviò allo sportello. L’aiuto dei suoi amici era fondamentale per la buona riuscita della sua sorpresa.
Tornò da loro e distribuì i biglietti. «Avete capito cosa fare o devo ripetere tutto?»
«Stai tranquillo Ciro, sei in buone mani.» Lo rassicurò Marcello, sempre presente con la sua telecamera quando si trattava di divertirsi.
«Mi raccomando però, fate silenzio. Non facciamoci notare prima del tempo.»
«Allora mi sa che hai sbagliato a chiamare noi.» I suoi compagni, infatti, erano famosi per essere dei grandi casinisti. Presi singolarmente potevano pure apparire tranquilli e con la testa sulle spalle ma insieme davano il peggio di loro stessi trascurando ogni regola. La loro mente regrediva allo stato di quindicenni e le loro azioni diventavano le più imprevedibili.
«La volete la pizza o no?» Ciro li guardò in maniera minacciosa.
«Abbiamo capito.» Esclamò Francesco «Rimaniamo muti.»
«Andiamo. Per prima cosa dobbiamo superarla.»
Insieme ai suoi tre amici attraversò i giardini, oltrepassando gli stand iniziali, dove il gruppo di architetti di cui faceva parte la sua amata procedeva, guidato dal famoso artista, autore delle opere esposte.
Arrivati veloci e inosservati all’ultimo stand, si introdussero al suo interno tramite una porta di servizio, trovandosi in un’ampia sala ricca di opere d’arte di ogni specie ma ancora libera dai visitatori.
«Il gruppo è ancora lontano. Dovrebbero passare di qua più tardi.» Disse Francesco.
«Qui va benissimo. Dobbiamo solo trovare il punto migliore dove scrivere il messaggio.» Cominciò a guardarsi intorno ma si rese subito conto che sarebbe stato difficile trovare uno spazio libero adatto a dei murales d’effetto.
«Ciro, che ne dici di questa parete divisoria? E’ come un’enorme tela bianca a tua completa disposizione.»
Ciro si avvicinò al muro indicatogli dall’amico. Era alto tre metri e largo altrettanto, totalmente ricoperto da intonaco bianco grezzo. Sembrava che la sorte fosse dalla sua parte.
«Ma qua c’è scritto “Muro di Punzo”.» Notò Ciro.
«Sarà la ditta che ha allestito lo stand. E’ perfetto. Coraggio Ciro, lo vuoi capire che la stai perdendo. Lei ormai è un architetto e tu fai ancora ‘o guaglion ro macellar. Devi fare qualcosa di clamoroso.»
“Ha ragione. Se parte, la perderò per sempre.”
«Ok, compa’. Passami la bomboletta spray.»
Ciro la impugnò deciso e incominciò a scrivere sul muro ancora inviolato, mentre i compagni sfoderarono i loro strumenti.
«Le chitarre sono pronte e accordate.» Genni e Francesco erano già in posizione.
«Marcello tu filma tutto. Non voglio perdere niente di questo momento speciale.» Ciro ripose la bomboletta nello zaino e si sistemò la sua cresta fissata col gel. La scritta al centro del muro era completa: “Sofia nun partì. Resta cu’ mme’.”
«Fate silenzio. Stanno arrivando.» Avvisò Marcello.
«Ora.» Ciro vide spuntare, dietro un’enorme statua, Sofia seguita dal gruppo di colleghi. Con l’accompagnamento degli amici, iniziò a cantare una canzone scritta di suo pugno per l’occasione: «Sofia resta cu’ mme’. Nun lascià solo stu cor, pers rint a malincunia-a-a-a. Senz e te sta Napoli è oscur, si o sol che splend e illumina sta città-à-à-à.»
Si fermarono tutti, di fronte a quell’improvvisato spettacolo. I loro volti erano sconcertati. Ma Sofia sembrava la più scioccata.
«No, non è possibile. Ciroooo!» Urlò sovrastando la musica. «Era il Muro dell’Incomunicabilità! Il Muro di Punzo.»
Ciro bloccò subito i suoi amici. «Cosa?!»
Non era una semplice parete posta a dividere gli ambienti ma l’opera di un grande maestro. Punzo era un artista italiano sulla cinquantina che aveva dedicato la sua vita all’arte e allo studio. Non aveva famiglia e trascorreva le giornate nel suo laboratorio d’arte, uscendo solo in occasione delle sue mostre. Il muro rappresentava la difficoltà delle persone a comunicare tra di loro, ad aprire il proprio animo e a trasmettere le proprie emozioni. Punzo pensava di poterlo fare tramite le sue opere ma, privandosi di emozioni vere e pure, le sue sculture e i suoi quadri stavano diventando sempre più freddi e cupi.
«Che vergogna. Hanno infangato l’opera.» Commentò un uomo dal fare snob.
«Che gesto ignominioso.»
«E’ imbarazzante, una voce sgradevole e lacerante.» Borbottò un’altra distinta signora.
«Non ti rendi conto di cosa hai fatto?» Sofia scoppiò a piangere.
«Cos’è questa musica? Fatemi passare.» Il maestro Punzo, un uomo corto e pelato con un sottile baffo curato, si fece avanti tra il folto gruppo.
Rimase immobile a osservare la sua opera, mentre un silenzio tombale calò sui presenti. «Incredibile. E’ successo davvero.» L’estroso artista sembrava stupefatto, qualcosa lo aveva dovuto colpire. «Giovane, come ti chiami?»
«Ciro.» Rispose perplesso.
«Ho girato il mondo intero con la mia mostra. Ciro tu sei il primo che abbia avuto il coraggio di abbattere il mio muro dell’incomunicabilità, con questi versi così spontanei e sinceri e questa voce vibrante ed evocativa. Grazie a te la mia mente ora è libera. Sei la risposta a tutte le mie domande.»
«Grande Ciro. Te l’avevo detto.» Genni gli diede una pacca sulla spalla.
«Questo ragazzino è un genio.» Commentò l’uomo di prima.
«Che poesia.»
«E che voce soave.» Ribatté la distinta signora.
Ciro si caricò di nuovo del suo entusiasmo e spostò l’attenzione sulla sua amata. «Sofia, amore. Non partire.»
Sofia si avvicinò veloce a lui, gli mollò uno schiaffo sulla guancia e si allontanò da tutti colma di vergogna.
Lui rimase fermo, guardandola scappar via, sorpreso dalla sua reazione eccessiva. «Ma io volevo solo…»
«Piccolo non badare a lei. Noi artisti siamo avvezzi a una vita di solitudine e incomprensione.» Lo consolò il maestro, arrivato accanto a lui. «Tu hai la spontanea temerarietà dei creativi. Tu sei destinato a cose più grandi.» 

E' il momento di Sofia.


venerdì 24 ottobre 2014

Un po' di me...


Per chi non mi conosce o mi conosce poco è d’obbligo presentarmi. Sono Raffaele, ho 34 anni e sono di Napoli. Sostanzialmente sono e sarò sempre un vigile del fuoco. Ricordo che da piccolo, ogni qualvolta inseguivo situazioni pericolose, mia madre mi rimproverava e finiva col chiudermi in casa. Ora, mi pagano per farlo, quindi le ho chiesto di smetterla. Girare per la città nel buio della notte, aiutare la gente e i gattini impauriti è il mio lavoro. Mia madre, invece, continua a fare la maestra, una di quelle che ti mette con la testa nel libro se ti distogli dallo studio e non ti fa scendere a giocare con gli amici fino a quando non hai finito l’intero assegno. Quindi, per sopravvivere ho dovuto studiare, studiare tanto, fino a prendermi una laurea in ingegneria, ottima come base per una vita solida e concreta, certo, ma troppo pesante per lasciarti librare in aria e toccare i tuoi sogni. E qui che interviene mio padre, sociologo e ottimo poeta. Mi ha cresciuto a botte di fumetti, cinema e racconti fantastici, tanto che ormai sono convinto che la vita non sia altro che la trama di un fumetto a bivi in cui sei tu a decidere la prossima destinazione. Ed è la mia ultima scelta che mi porta qui.

Scrivere un romanzo è quello che uno meno si aspetta da un ingegnere che fa il vigile del fuoco, ma a volte è dalle cose più imprevedibili che si ottengono le più grandi soddisfazioni.

Un anno fa, ho cominciato a conoscere questi quattro ragazzi, i loro amici, le loro famiglie e le loro storie. Sono entrato nelle loro case e loro nella mia. Era bellissimo avere qualcuno da ascoltare, che ti raccontasse le sue giornate e ti rendesse partecipe dei suoi pensieri. Li ho ascoltati affascinato, catturato e incuriosito. Quando parlavo con loro, a volte seguivano i miei consigli, ma spesso preferivano fare di testa loro. Mi hanno accompagnato fino ad oggi, gioendo con me e risollevandomi nei momenti difficili. Alla fine sono diventati parte di me e ora non ne posso più fare a meno. 

Mi farebbe piacere farveli conoscere, raccontarvi le loro storie, le loro paure e le loro speranze, i loro amori e le loro difficoltà, le loro sconfitte e le loro vittorie.

Ho deciso di autopubblicare subito il mio libro al costo di un caffè, perché i miei amici in un cassetto non ce li metto, ma preferisco chiacchierarci al bar.
Spero che leggendo di loro anche voi ve ne innamoriate.

Raffaele Napolitano

L'amore si fa in quattro



Sofia, dopo aver piantato Ciro, nonostante il suo disperato tentativo di trattenerla a Napoli, arriva a Firenze per frequentare un master universitario e distogliersi da qualsiasi relazione sentimentale. Ma durante la sua prima corsa mattutina alle Cascine, inciampa in un fosso e finisce per terra dolorante. In suo aiuto arriva celermente Lorenzo, un affascinante ragazzo moro, che ne approfitta, nonostante il disinteresse di Sofia, per trasformare l’evento in un inaspettato appuntamento. Sarebbe potuto essere l’inizio di una classica storia d’amore se nella loro vita non si fossero intromessi Christian, simpatico e prestante giocatore di rugby, in continua ricerca di sfide e Mia, bionda rampolla di nobile famiglia, rimasta folgorata dai trascinanti ritmi dei balli caraibici e determinata a soddisfare sempre i propri desideri. 

Nell’incantevole scenario di una eternamente bella Firenze si incroceranno e scontreranno i destini dei quattro giovani. Scopriranno, loro malgrado, quanto sia complicato il gioco dell’amore, venendo coinvolti in un turbine di eventi; una continua alternanza di vittorie e sconfitte in una lunga e dinamica contesa che condurrà ognuno di loro a esiti niente affatto scontati.